« Difficile esprimere un voto netto: da cinefilo, porgo tanto di cappello ad un signor action-noir alla Michael Mann (modello dichiarato), che alterna scene d'azione vigorose e ben girate (senza, grazie a Dio, impennate surreali alla Matrix) ad una precisa analisi psicologica dei personaggi e a interrogativi morali. Da fumettofilo, però, non posso che domandarmi se ci sia davvero bisogno di spiegare per filo e per segno che Batman, se esistesse, indosserebbe una tuta di kevlar anziché una calzamaglia in spandex aderente, o che il Joker sarebbe solo un maniaco sfregiato e truccato, poiché nella vita reale nessuna caduta nell'acido procura pelle bianca e capelli verdi. I film, per loro stessa natura, sono finzione e per appassionarci dobbiamo sospendere il nostro giudizio critico e prender per buone certe cose. Questo concetto (che Samuel Taylor Coleridge chiamava "sospensione d'incredulità") è noto a tutti i narratori fin dai tempi del teatro greco. A tutti meno che a Nolan, il quale spreca tempo e fatica per rendere a tutti costi credibile l'idea fantastica (che non vuol dire "stupida" o "ridicola") che un miliardario si travesta da pipistrello per combattere il crimine senza armi da fuoco. Ed anche il Joker, considerato il fiore all'occhiello del film, lascia perplessi. Chi ha letto il capolavoro di Alan Moore "Batman: The Killing Joke" sa bene che il Joker è un "agente del caos", interessato non ai soldi, ma a dimostrare che anche l'uomo più integerrimo, messo alle strette, può impazzire come lui. E fin qui tutto come mostrato da Nolan. Tuttavia il Joker cela questa visione dolente della vita dietro ad una maschera di buffoneria che lo rendono un villan ancor più originale ed imprevedibile. Nicholson, da lettore, lo sapeva, ed aveva quella classe ed ironia fondamentali per il personaggio, e che (spiace dirlo) sono mancate a Ledger che, tra risatine isteriche, fare convulso e lame e benzina al posto di acidi e gas esilaranti, non si distingue dai tanti maniaci da horror-thriller di serie B (in ogni caso colpa dello script, non sua). Non parliamo poi di Gotham City (se cosìla vogliamo chiamare): moderna, luminosa, pulita, ordinata, asettica: Nolan avrebbe dovuto rivedersi Il Corvo, con le atmosfere gotiche e quelle underground amalgamate alla perfezione e spinte al massimo livello. Insomma, il successo de Il Cavaliere Oscuro consiste nel fatto che è un film pensato per chi i fumetti li snobba senza averli mai letti, ritenendoli un passatempo infantile. Ossia per la stragrande maggioranza del pubblico, convinta che quel genio di Nolan abbia dato spessore a robetta per ragazzini, quando invece non ha fatto altro che prendere le idee migliori del fumetto e rendere il tutto più insipido con la sua assurda filosofia di "realismo a tutti i costi, anche a costo di sacrificare l'atmosfera". Un film intelligente, ma senza fascino. »
« Ovvero come riprendere il classico cinema d’avventura hollywoodiano (dove ci si entusiasma, ci si commuove e si fa il tifo per i buoni) e farlo rivivere in uno spettacolo moderno e divertente, senza scadere nella retorica lacrimogena tipo Gladiatore.
Non c’è nulla che non si sia già visto, dall’inizio (che cita Sentieri Selvaggi) al duello finale (in stile Mezzogiorno di Fuoco), e anche i personaggi sanno di stereotipo: l’uomo tranquillo che spara se costretto, il giovane sbruffone, il vendicatore suo malgrado, il pistolero che vuol lasciarsi il passato alle spalle. Ma il regista Lawrence Kasdan, sceneggiatore de I Predatori dell’Arca Perduta, sfodera lo stesso senso del ritmo, aggiungendo parecchi tocchi d’ironia, in modo di non annoiare per più di due ore. Straordinaria la soundtrack di Bruce Broughton, utilizzata ancor oggi nelle finali dell’NBA.
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« L'infanzia del giovane Superman era già stata narrata, a ben altri livelli, nella dimenticata serie tv Superboy (1988-92).
Questo è solo un polpettone adolescenziale alla Dawson's Creek con intrighi fantascientifici alla X-Files. Ripetitivo (i protagonisti si giurano amore eterno, il giorno dopo si lasciano e dopo due stagioni si ritrovano e ricomincia la solfa), scialbo e patinato, gode un successo longevo e insperato perché è un prodotto pensato su misura per i giovani d'oggi, i quali snobbano fumetti, maschere e calzamaglie, ritenendoli roba ridicola e poi nutrono il loro intelletto con perle quali Beautiful, O.C. eccetera. Per non parlare delle comparsate (sprecate) di altri eroi della Justice League: Freccia Verde, Impulso, Cyborg, Aquaman, Black Canary, Supergirl, antipatici e snaturati rispetto alle controparti disegnate...Fatevi un favore, il vero Superman compratelo in edicola!!! »
« Dopo i fasti dello splatter anni ’80, e prima della resurrezione di quest’ultimo negli anni 2000 (specie grazie a remake di classici ottantiani), il genere horror conobbe, nella seconda metà degli anni ’90, un periodo di anemia cronica, di sangue e soprattutto di idee, ristagnando in piccoli thriller adolescenziali (So Cosa Hai Fatto, Urban Legend) che avevano assorbito male la lezione di Scream.
Tra questi si alza leggermente sopra la media The Craft, in italiano Giovani Streghe.
Nancy (Fairuza Balk), Bonnie (la Neve Campbell di Scream) e Rochelle (Rachel True) sono tre studentesse: emarginate e sfottute dai compagni, si dedicano alla magia. Quando coinvolgono nel loro hobby la nuova arrivata, Sarah (Robin Tunney, recentemente rilanciata dal telefilm The Mentalist), ottengono maggior potere, al punto che Sarah, strega naturale (ha ereditato la magia dalla madre defunta) dovrà lottare contro le tre amiche, ormai fuori controllo.
La metafora magia uguale droga, col messaggio di fondo sull’abuso di potere che porta alla rovina, non sono granché originali. Ed anche nella trama abbondano i luoghi comuni: la ragazza cattiva, dalla famiglia disastrata, sprofonda nel suo delirio d’onnipotenza, quella imbruttita dalle cicatrici, una volta guarita, diventa vanitosa e perfida, mentre l’ultima arrivata, quella timida, si rivela la più forte e salva baracca e burattini.
Tuttavia vengono evitate anche molte possibili cadute di tono: ad esempio gli effetti speciali sono pochi ma buoni, mentre la fotografia, non troppo vivace, crea la giusta atmosfera.
Ed il finale, anche se non ha il coraggio d’essere veramente cattivo e spiazzante, non è neanche mieloso/consolatorio come ci si aspetta da Hollywood: i buoni vincono, ma se vi aspettate un qualche elogio dell’amicizia o della solidarietà femminile, andate a rispolverare Le Streghe di Eastwick…
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Regia di Christopher Nolan - Warner Home Video
Regia di Lawrence Kasdan - Universal Pictures
Non c’è nulla che non si sia già visto, dall’inizio (che cita Sentieri Selvaggi) al duello finale (in stile Mezzogiorno di Fuoco), e anche i personaggi sanno di stereotipo: l’uomo tranquillo che spara se costretto, il giovane sbruffone, il vendicatore suo malgrado, il pistolero che vuol lasciarsi il passato alle spalle. Ma il regista Lawrence Kasdan, sceneggiatore de I Predatori dell’Arca Perduta, sfodera lo stesso senso del ritmo, aggiungendo parecchi tocchi d’ironia, in modo di non annoiare per più di due ore. Straordinaria la soundtrack di Bruce Broughton, utilizzata ancor oggi nelle finali dell’NBA.
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Warner Home Video
Questo è solo un polpettone adolescenziale alla Dawson's Creek con intrighi fantascientifici alla X-Files. Ripetitivo (i protagonisti si giurano amore eterno, il giorno dopo si lasciano e dopo due stagioni si ritrovano e ricomincia la solfa), scialbo e patinato, gode un successo longevo e insperato perché è un prodotto pensato su misura per i giovani d'oggi, i quali snobbano fumetti, maschere e calzamaglie, ritenendoli roba ridicola e poi nutrono il loro intelletto con perle quali Beautiful, O.C. eccetera. Per non parlare delle comparsate (sprecate) di altri eroi della Justice League: Freccia Verde, Impulso, Cyborg, Aquaman, Black Canary, Supergirl, antipatici e snaturati rispetto alle controparti disegnate...Fatevi un favore, il vero Superman compratelo in edicola!!! »
Regia di Andrew Fleming - Universal Pictures
Tra questi si alza leggermente sopra la media The Craft, in italiano Giovani Streghe.
Nancy (Fairuza Balk), Bonnie (la Neve Campbell di Scream) e Rochelle (Rachel True) sono tre studentesse: emarginate e sfottute dai compagni, si dedicano alla magia. Quando coinvolgono nel loro hobby la nuova arrivata, Sarah (Robin Tunney, recentemente rilanciata dal telefilm The Mentalist), ottengono maggior potere, al punto che Sarah, strega naturale (ha ereditato la magia dalla madre defunta) dovrà lottare contro le tre amiche, ormai fuori controllo.
La metafora magia uguale droga, col messaggio di fondo sull’abuso di potere che porta alla rovina, non sono granché originali. Ed anche nella trama abbondano i luoghi comuni: la ragazza cattiva, dalla famiglia disastrata, sprofonda nel suo delirio d’onnipotenza, quella imbruttita dalle cicatrici, una volta guarita, diventa vanitosa e perfida, mentre l’ultima arrivata, quella timida, si rivela la più forte e salva baracca e burattini.
Tuttavia vengono evitate anche molte possibili cadute di tono: ad esempio gli effetti speciali sono pochi ma buoni, mentre la fotografia, non troppo vivace, crea la giusta atmosfera.
Ed il finale, anche se non ha il coraggio d’essere veramente cattivo e spiazzante, non è neanche mieloso/consolatorio come ci si aspetta da Hollywood: i buoni vincono, ma se vi aspettate un qualche elogio dell’amicizia o della solidarietà femminile, andate a rispolverare Le Streghe di Eastwick…
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