Tutte le recensioni di S.Maria Vittoria

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AvatarAvatar
Regia di James Cameron - Warner Home Video
  • € 11.99
4Vecchi temi, nuove tecnologie..., 14-08-2010
« Parere abbastanza condiviso in rete è che la trama del film sia piuttisto esile. E’ vero: il tema cultura vs natura presenzia le riflessioni filosofiche di tutti i tempi. Lo svolgersi di "Avatar" è abbastanza prevedibile. L’impressione che ho avuto è che la storia serva semplicemente da pretesto per mostrare la bellezza dell’ambientazione, che è a parer mio la vera forza del film. Al di là dell’utilizzo di cose già viste (un esempio tra gli altri: le montagne volanti di Pandora), non mancano le trovate originali: quella che mi ha conquistata è stato l’aspetto del legame creatura-natura palesato nell’uso bizzarro che i Na’Vi (popolazione autoctona di Pandora) fanno delle loro trecce, dalle cui estremità si diramano dei mini-tentacoli-connettori capaci di unirli in una comunicazione intima e viscerale tanto con gli animali quanto coi vegetali di Pandora. In generale, il mondo incontaminato di Pandora, i suoi colori sgargianti e le forme bizzarre delle sue forme di vita, convince: questo sì che è "sense of wonder", ragazzi!

Pensando al succedersi repentino di film in 3D, mi sorge spontanea una riflessione: considerando la velocità con cui progredisce la tecnologia, mi aspetto un futuro in cui i film in 3D scalzino totalmente quelli in 2D, così come la tv fece con la radio ("Video killed the Radio star…" faceva la canzone), e i dvd con le vhs. Questa nuova forma di intrattenimento è ciò che ci attende all’orizzonte… ma mi chiedo: come ne uscirà lo stato di salute della forma d’arte cinematografica? Non voglio aggrapparmi a un atteggiamento nostalgico e conservatore, ma mi chiedo se il cinema non affascini proprio perché lascia che alcune lacune siano colmate dall’immaginazione dello spettatore (fascino che condivide, secondo me, con la lettura). L’immagine creata dalla mia fantasia non è forse più vera e genuina di quella fornita da una rappresentazione 3D?

Ai posteri l’ardua sentenza… »
UpUp
Regia di Bob Peterson, Pete Docter - Walt Disney Studios Home Entertainment
  • € 12.99
5Il folle volo d'Ulisse, 14-08-2010
« "Up" è un film che fa riflettere sui rapporti tra le persone, sulla nostra umanità. E’ un film che riesce a parlare a tutti, vecchi adulti e bambini. E’ un film che tocca il cuore. E lo fa così a fondo che dopo un po’ smetti di chiederti come diavolo possa fare una casa intera a volare solo grazie a dei palloncini.

La trama del film è originale; ma ciò che mi ha conquistato sono state le tematiche affrontate e i sentimenti chiamati in causa. Il personaggio-tipo del vecchio burbero tutto chiuso in se stesso è qualcosa di inusuale per un film d’animazione – questo genere ci ha abituati piuttosto ad animali parlanti ("Alla ricerca di Nemo", "Madagascar", "L’era glaciale") e/o personaggi fiabeschi e magici ("Shrek"). Ma ciò che emoziona di più è vedere come si svolge il percorso di crescita di questo buffo vecchietto. La singolare avventura vissuta da lui e dalla bizzarra compagnia nella quale si ritrova suo malgrado (un bambino, un cane parlante, un “beccaccino“) fa piuttosto da sfondo e pretesto a una storia abbastanza semplice: una storia d’amore come forse non siamo più abituati a vederla – senza principi o principesse, bellocci e bellone – il legame sempre più tenero e stretto tra un vecchio e un bambino.
Ma in "Up" non c’è solo la tematica amoroso-generazionale.
A parer mio, altre due parole chiave di "Up" sono: sogno e libertà, quest’ultima sotto la metafora dell‘ebrezza del volo, della leggerezza di un palloncino colorato tra le nuvole. La libertà di sognare posti lontani e sconosciuti, e la voglia tutta umana di conoscere ed esperire.
Il folle volo di Ulisse è sempre contemporaneo.

Una delle frasi del film che più mi è rimasta impressa: "Può sembrare noioso… il fatto è che sono le cose noiose quelle che ricordo meglio". »
Alice in WonderlandAlice in Wonderland
Regia di Tim Burton - Walt Disney Studios Home Entertainment
  • € 8.75
2La parabola discendente di ogni genio, 14-08-2010
« Ho atteso con trepidazione l’uscita e la visione di questo Alice in Wonderland: dato il cast ben nutrito (Johnny Depp, Musa ispiratrice del regista; la sua compagna Helena Bonham Carter; Anne Hathaway dalla quale molti si aspettavano molto) e il fatto di richiamarsi a un’opera ricca di livelli di lettura e psichedelica quanto il genio del regista, era più che legittimo aspettarsi un capolavoro in pieno stile Burton.

Ebbene, a parer mio quest’Alice è una bella delusione, un flop, una scivolata inscusabile da parte di Tim Burton.

Vediamone i principali motivi:

Intreccio.
Non sono una sostenitrice della fedeltà assoluta all’originale costi quel che costi, ma se è vero che ogni opera d’arte è un’opera aperta che rinasce per ogni nuova interpretazione che se ne fa, non tollero che un artista storpi l’opera d’arte al punto da tradire bellamente l’intenzione narrativa originaria che il primo e unico autore dell’opera (il signor Charles Lutwidge Dodgson, in arte Lewis Carroll) vi ha infuso. Perché è proprio questo che ha combinato Burton: uno scempio del capolavoro carrolliano.
Del sovvertimento dei comuni processi di significazione del linguaggio che costituiscono la ricchezza (e il fondo di sempre nuove e moderne riflessioni) del testo originale c’è poco o nulla in questa interpretazione filmica di Burton: tracce pallide ne sono i non-sense, giochi di parole e neologismi con cui sono infarciti i dialoghi (davvero simpatica e suggestiva l’affermazione del Cappellaio Matto ad Alice: “Hai perso la tua moltezza“; peccato che non io non ricordi d’averla letta nel testo originale…). Ma il linguaggio messo in bocca ai personaggi di questo film non riesce affatto a mimare i gradi di astrattezza e suggestività cui le controparti originali arrivano grazie al genio combinatorio di Carroll.

Personaggi e attori.
Qual è il personaggio che più ho apprezzato?
Il leprotto marzolino.
… e non sto scherzando! Almeno lui è perfettamente nella parte.
Diamo a Cesare quel che è di Cesare: apprezzo il tentativo originale di giustificare l’ossessione della Regina Rossa di “tagliar teste” a ogni piè sospinto disegnandola con una orribile testa sproporzionatamente grande rispetto al corpo; quanto alla Bonham Carter, questi personaggi così sopra le righe e che guardano dall’alto in basso le vengono fuori sempre bene, nulla da ridire: lei questo sa fare e questo fa.
Anne Hathaway nei panni della Regina Bianca era per me un interrogativo pieno di aspettative, in parte deluse e in parte appagate: l’attrice è abbastanza nel personaggio, manifestando quel pizzico di schizzinosaggine e tic che servono a non renderlo troppo “fata turchina”; io prima di questa performance l’avevo vista solo nel Diavolo veste Prada e mi sento di affermare che ha dimostrato abbastanza versatilità nel passare da quei panni a questi. Rimane il fatto, devo dirlo, che spesso la sua recitazione m’è parsa troppo artificiosa e “da copione”.
Mia Wasikowska, al suo esordio nell’interpretazione della protagonista Alice, è una scelta somaticamente azzeccata per questo ruolo, coi suoi boccoli biondi da bambola e il viso pallido un po’ emaciato; quanto alla sua performance, non mi sento di criticarla, per essere un debutto è più che buono.
Ma la performance di Johnny Depp, beh, a questa io non concedo nessuna attenuante: Depp nel ruolo del Cappellaio Matto è “medio” (per non dire mediocre). Mi aspettavo che Depp da solo avrebbe illuminato e retto il film intero con le sue funambolerie. E invece il suo mantenersi entro le righe e il quasi non sforzarsi più di tanto mi hanno delusa irrimediabilmente… Nulla a che vedere con la forza espressiva scaturente da piccole smorfie e movenze accurate di Willy Wonka, la follia tragicomica di Capitan Jack Sparrow o la drammaticità horror di Sweeny Todd, giusto per citare le sue performance più recenti.

Conclusioni.
Inizio a pensare con sempre più forza che tutti i geni a un certo punto vanno incontro a un tramonto, secondo una parabola discendente costante e ripetitiva. Lo sto pensando ora a proposito di Tim Burton, ma l’ho pensato già quando ho visto Bastardi senza gloria di Quentin Tarantino e Baaria di Peppuccio Tornatore. Due sono le cose: 1) i registi si arricchiscono e sono paghi a tal punto che non si sforzano più per dare il meglio di loro stessi; 2) la grandezza dei loro capolavori passati è così sublime che a un certo punto i registi non riescono più a emulare loro stessi, riducendosi piuttosto a manieristiche caricature di se stessi.

Non so quale delle due ipotesi sia più confortante. »
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